Con questo post voglio raccontarvi una bella storia, fatta di passione ed amore, sacrificio e sudore. È la storia di un vignaiolo “ignorante” che, dopo aver realizzato l’impianto del proprio vigneto, completa l’opera mettendo a dimora le barbatelle.
Questa storia comincia il 24 febbraio 2014 alle 8 del mattino, quando in sella alla mia bici verde con i freni a bacchetta raggiungo il mio terreno.
Il vigneto è li ad attendermi, l’impianto è stato completato il giorno prima ed io mi emoziono di nuovo, come e più di prima. Ma le emozioni svaniscono subito, l’opera deve essere terminata e c’è ancora tanto lavoro da fare. L’impianto è bello, ma senza viti rimane pur sempre un’inutile cattedrale nel deserto.
Il pomeriggio prima, mentre il “team del treruote” era al lavoro sull’impianto, mi sono recato in vivaio per ritirare le barbatelle che avevo ordinato in precedenza. 150 in totale, 125 di Piedirosso e 25 di Sciascinoso, come definito durante la fase progettuale. Ho pagato il conto (270 euro in totale, ovvero 1,80 euro a barbatella), ho caricato i fasci in macchina e sono tornato al vigneto. Appena rientrato, la prima cosa che ho fatto è stata quella di riempire d’acqua una grossa bacinella per immergerci le barbatelle dal lato delle radici, così da favorire la reidratazione dei tessuti.
La mattina dopo quindi, le barbatelle erano ancora lì che mi aspettavano mentre facevano il “bagnetto”. La prima cosa che ho fatto è stata quella di tagliare le fascette (le barbatelle vengono confezionate in fasci da 25) e disporre una barbatella vicino ad ogni buco scavato il giorno prima con la mototrivella.
I preparativi erano così terminati ed io pronto per iniziare la messa a dimora di ogni singola barbatella, un’attività che sarei andato a ripetere ben 150 volte durante il corso di quella giornata, in modo goffo all’inizio e poi via via in maniera sempre più fluida e consapevole. La messa a dimora di una barbatella segue delle regole ben precise, che è meglio rispettare alla lettera se non ci si vuole imbattere in spiacevoli inconvenienti futuri, soprattutto la morte della pianta.
Innanzitutto le radici della barbatella devono essere allineate al portinnesto, come se ne fossero una prosecuzione ideale, e non devono eccessivamente aprirsi ad “ombrello”. Questo per agevolare lo sviluppo radicale in profondità, dove le radici subiranno meno gli effetti della siccità (in quanto più lontane dalla superficie, che si secca prima quando le piogge scarseggiano) e potranno trovare un terreno maggiormente ricco di preziosi nutrienti. La prima cosa da fare quindi è quella di tenere unite le radici e spingerle per bene in profondità, evitando che il contatto con la superficie del buco le faccia arricciare o curvare verso l’alto.
La barbatella dovrà essere inserita nel terreno quasi per la sua intera lunghezza, ad emergere sarà soltanto la parte superiore (nesto) per circa 5-6 centimetri; è questa infatti la parte dalla quale si svilupperà la chioma della vite. In alcuni casi ho dovuto usare un trapiantatoio per rendere più profondo il fosso scavato in precedenza dalla mototrivella, così da accogliere comodamente le barbatelle più lunghe della media. Una volta inserita la barbatella all’interno del buco, è necessario ricoprirlo fino in superficie con la terra precedentemente rimossa. Affinché questa operazione venga svolta al meglio, è necessario compattare la terra attorno alla barbatella in modo tale da evitare la formazione di vuoti soprattutto attorno alle radici, che verrebbero in tal modo private dell’essenziale contatto con la terra e quindi con tutti i nutrienti necessari al loro sotentamento.
Per compattare la terra attorno alla barbatella si fanno due operazioni. Innanzitutto si batte la terra in prossimità della barbatella con l’ausilio di un bastone, così da comprimerla per bene e spingere il terreno in profondità, in modo da colmare eventuali vuoti presenti. Mediante questa “battitura”, sarà possibile ricavare attorno alla pianta un piccolo pozzetto in grado di accogliere l’acqua.
L’acqua è infatti l’elemento fondamentale per la seconda delle operazioni necessarie a compattare la terra attorno alle radici. Versandone 1-2 litri subito dopo la battitura infatti, l’acqua scende in profondità ammorbidendo col suo passaggio il terreno che incontra. La fanghiglia che si ottiene in questo modo avrà la giusta consistenza per andare a colmare quei vuoti che eventualmente persistevano.
Con quest’ultima operazione, la messa a dimora della barbatella può ritenersi conclusa ed è possibile passare alla successiva. Si tratta di un’operazione faticosa in quanto bisogna abbassarsi ed alzarsi ripetutamente e, cosa più importante, è necessario ripeterla svariate volte. Io l’ho dovuto fare 150 volte e nonostante la schiena distrutta, quando alle 5 del pomeriggio il lavoro era ormai completo, ho avuto la forza di emozionarmi e sorridere allo spettacolo del mio vigneto che si illuminava al chiarore del suo primo tramonto. Ve l’avevo detto che questa era una bella storia….
PS: nel video che segue potete vedere tutti i passaggi sinora descritti messi in pratica:
Ciao Luca, è veramente interessante il tuo articolo e inoltro cerco soltanto di immaginare la tua emozione… .
Complimenti!
Ciao Francesco, sono contento di essere riuscito a trasmettere le mie emozioni, vuol dire che ho raggiunto il mio obiettivo. Complimenti a te per il blog e per la pagina facebook.
Ci sei riuscito certamente! a presto e grazie per i complimenti sul blog.
Francesco
Veramente complimenti…puoi inviare foto dell’attuale situazione? Saluti
Grazie mille per i complimenti Alessio. Puoi vedere sul mio profilo facebook (https://www.facebook.com/lavitebella/) le foto del vigneto così com’è ora. Poi se mi indichi in privato un tuo indirizzo e-mail te le posso girare anche via posta elettronica.
bel lavoro , sora sarebbe bello vedere come e’ diventato …. puoi mandare ? ugo_margarita@yahoo.it grazie
Grazie Ugo, puoi vedere com’è diventato ora il mio vigneto collegandoti ai miei profili social: Facebook (https://www.facebook.com/lavitebella/) e Instagram (https://www.instagram.com/vignaioloignorante/).